Gesuiti
Fondazione Magis ets
Opera missionaria della Provincia Euro-Mediterranea dei gesuiti
MAGIS Notizie Europa ancora cristiana?
Italia,

Europa ancora cristiana?

A conclusione del nostro percorso editoriale di quest’anno sul Sinodo sulla Sinodalità della Chiesa
Cattolica, giungiamo al numero sul contesto europeo. Per noi ha un significato particolare essendo
GMI espressione di un’opera della Provincia Euro-mediterranea della Compagnia di Gesù.
La Chiesa cattolica ha finalmente scelto questa modalità sinodale allargata. Si tratta di un’esperienza
auspicata da tempo da alcuni e che è frutto di una lunga maturazione a ormai sessant’anni dal Concilio
Vaticano II con la svolta paradigmatica di un nuovo modello di Chiesa. È una modalità che oltre al tema
generale della sinodalità ha proposto il metodo del discernimento e della partecipazione allargata a
tutte le componenti ecclesiali. Essa ha comportato un “fermarsi” vero e proprio, per incontrarsi faccia
a faccia intorno a dei tavoli, nello stesso luogo, per poter riflettere e discernere seriamente e
diffusamente sul suo cammino in un futuro di speranza. Un fermarsi senza false illusioni e ingenuità,
consapevoli del proprio passato e dei recenti problemi, e che si svolge in uno scenario di conflitti che
stavolta non sono neanche così lontani dalla Città del Vaticano, da Roma, e coinvolgono direttamente
o indirettamente quei Paesi e un intero continente che aveva bandito la guerra dopo la tragedia della
seconda guerra mondiale e costruito la democrazia intorno al tema centrale della pace.
Ad esempio, ricordo qui l’articolo 11 della Costituzione italiana che dovrebbe rappresentare la guida
per le istituzioni ed i cittadini italiani e monito per quanti oggi scelgono vie nella direzione opposta:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;
promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
È un articolo che incontra la sensibilità cristiana (o forse scaturisce proprio da essa) verso la pace e la
giustizia. Mentre scrivo questo editoriale appare provvidenzialmente il documento finale della seconda
sessione della XVI Assemblea, dal quale si possono trarre numerosi spunti di riflessione per l’impegno
missionario delle nostre realtà ecclesiali e per la Fondazione MAGIS in particolare.
Anche noi ci uniamo alle parole del documento, e cioè “ci uniamo ai ripetuti appelli di Papa Francesco
per la pace, condannando la logica della violenza, dell’odio, della vendetta e impegnandoci a
promuovere quella del dialogo, della fratellanza e della riconciliazione. Una pace autentica e durevole
è possibile e insieme possiamo costruirla. «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini
d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (Gaudium et Spes 1) sono state ancora
una volta le gioie e le tristezze di tutti noi, discepoli di Cristo”. Questi temi sono stati più volte ripresi
nei nostri articoli precedenti e fanno parte del nostro percorso e stile. Dov’è l’Europa in tutto questo discorso? Possiamo ancora parlare di Europa cristiana? La schizofrenia culturale che affligge l’Europa
occidentale è sempre più evidente: da una parte promotrice di diritti di ogni tipo (a volte senza
considerare la pluralità etica e morale di alcune componenti), dall’altra promotrice di una cultura
bellicista, di una forma di etnocentrismo esclusivista incapace di rispondere alle sfide dello squilibrio
tra nord e sud del mondo. Non tutti i cittadini sono ovviamente su questa linea; ma pare che i poteri
forti impongano decisioni unilaterali che sfuggono ad ogni razionalità in vista del bene comune
rispondendo ad una razionalità dei pochi privilegiati. La riverenza di facciata verso gli appelli di Papa
Francesco da parte di gran parte della classe dirigente dei Paesi, a partire da cattolici impegnati in
politica, non è seguita da un minimo di confronto serio sulle sue proposte. Le sue parole ma
soprattutto gli insegnamenti evangelici restano inascoltati, pur continuando ad usare strumentalmente
il riferimento alle radici cristiane del nostro continente per poi rinnegarle sistematicamente nella
prassi. Riprendo ancora il documento del Sinodo:
“La chiamata al rinnovamento delle relazioni nel Signore Gesù risuona nella pluralità dei contesti in cui
i Suoi discepoli vivono e realizzano la missione della Chiesa. Ciascuno di questi contesti ha peculiari
ricchezze di cui è indispensabile tenere conto, legate al pluralismo delle culture. Tutti però, pur con
modalità diverse, portano i segni di logiche relazionali distorte e talvolta opposte a quelle del Vangelo.
Lungo la storia, le chiusure relazionali si sono solidificate in vere e proprie strutture di peccato (cfr. SRS
36), che influenzano il modo in cui le persone pensano e agiscono. In particolare, generano blocchi e
paure, che abbiamo bisogno di guardare in faccia e attraversare per poterci incamminare sulla strada
della conversione relazionale. (n.53) Trovano radice in questa dinamica i mali che affliggono il nostro
mondo, a partire dalle guerre e dai conflitti armati, e dall’illusione che una pace giusta si possa
ottenere con la forza delle armi. Altrettanto letale è la convinzione che tutto il creato, perfino le
persone, possa essere sfruttato a piacimento per ricavarne profitto. Ne sono conseguenza le molte e
diverse barriere che dividono le persone, anche nelle comunità cristiane, e limitano le possibilità di
alcuni rispetto a quelle di cui godono altri: le disuguaglianze tra uomini e donne, il razzismo, la
divisione in caste, la discriminazione delle persone con disabilità, la violazione dei diritti delle
minoranze di ogni genere, la mancata disponibilità ad accogliere i migranti (n. 54)”.
Dunque la posizione dei cristiani, che emerge dal Sinodo, è chiara! E dovrebbe esserlo non solo per
tutti coloro che hanno partecipato a questa esperienza sinodale ma anche per coloro che vivono la
quotidianità della fede. C’è sicuramente un’Europa cristiana resiliente, della solidarietà e accoglienza,
della pace e non violenza, dell’amore verso i più piccoli della terra, che si scontra quotidianamente con
un’ideologia individualista ed esclusivista. È tempo di prendere profeticamente posizione, continuando
ad insistere perché siano rispettati i diritti fondamentali dell’umanità, assumendoci anche il dovere
della testimonianza cristiana e promuovendo come ribadisce il documento “la profezia della cultura
dell’incontro, della giustizia sociale, dell’inclusione dei gruppi marginali, della fraternità tra i popoli,
della cura della casa comune”.
Sarebbe bello estendere una modalità sinodale e poter gridare “fermiamoci” a tutti gli europei, laici e
credenti, capi di governo e membri della società civile, per riflettere su dove stiamo andando per
immaginare un futuro migliore in cui riprendere temi che stiamo abbandonando e che interessano il
futuro delle nuove generazioni. Allora sì, forse avrebbe ancora senso e giustificazione rifarsi alla
cosiddetta “cultura cristiana” europea.

di Ambrogio Bongiovanni – presidente Fondazione MAGIS

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