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MAGIS Notizie Europa e Mediterraneo tra migrazioni e conflitti. Ed è corsa al riarmo
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Europa e Mediterraneo tra migrazioni e conflitti. Ed è corsa al riarmo

Nel videomessaggio inviato ai giovani riuniti questo settembre a Tirana per il MED 24, nuova edizione degli Incontri del Mediterraneo, papa Francesco li ha incoraggiati “ad essere infaticabili pellegrini della speranza e a seguire i segni di Dio, affinché il Mediterraneo ritrovi il suo volto più bello: quello della fraternità e della pace. E che non sia più un cimitero”. Ecco quindi che, in una sola frase, il Pontefice coglie le due questioni-chiave che oggi si concentrano nel ‘Mare Nostrum’: quella dell’essere sempre più teatro di guerra, anziché come in passato luogo di incontro e di contatto fra civiltà, e quella dei sempre più frequenti, rischiosi, e molto spesso tragici, ‘viaggi della speranza’ dei migranti verso l’Europa.
Per quanto riguarda in particolare quest’ultimo aspetto, e soffermandosi solo al 2024, secondo i dati diffusi a livello internazionale nei primi sette mesi e mezzo dell’anno sono morte nel Mar Mediterraneo 1.320 persone: 1.026 di queste sono decedute o risultano disperse nella tratta del Mediterraneo centrale, quella cioè che porta in Italia. Intanto, le politiche dei Paesi europei, compresa
l’Italia, tendono sempre più ad adottare provvedimenti per limitare gli arrivi, tramite accordi con i
Paesi di partenza tra cui la Turchia o la Tunisia.
In ogni caso, sempre nei primi sette mesi del 2024 gli arrivi di migranti sulle coste italiane sono calati del 62,36% rispetto all’anno precedente, con un boom di sbarchi invece in Spagna e Grecia. Lo rilevano i dati del dossier del Viminale, secondo cui i flussi migratori sono drasticamente calati nel Mediterraneo centrale (-64%) e sulla rotta balcanica (-75%), mentre c’è stato un aumento degli arrivi nel Mediterraneo occidentale e orientale che hanno interessato, nello specifico, Spagna (+153%) e Grecia (+57%).
Ma è l’altro aspetto toccato dal Papa, quello del Mediterraneo e la pace, a mostrarsi oggi ancora più drammatico. Agli annosi conflitti civili in Siria – dura ormai da 13 anni – e in Libia – paese di fatto ancora diviso in due, nonostante i tentativi di accordo -, si è aggiunto dal 7 ottobre scorso il riesplodere del sanguinoso conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, che rischia di estendersi alla Cisgiordania, che già coinvolge come alleati e sostenitori di Hamas l’Iran, Hezbollah in Libano e gli Houthi nello Yemen, e che minaccia per questo un’escalation dalle conseguenze disastrose e incontrollabili.
Gli sforzi di pace sostenuti da paesi come gli Stati Uniti, l’Egitto e il Qatar non hanno sortito finora risultati apprezzabili. Il che, anche qui, ha fatto eloquentemente dire di recente al Pontefice, durante la conferenza stampa nel volo di ritorno da Singapore, che la guerra a Gaza è “troppo, troppo…” e che lui non trova “che si facciano i passi per fare la pace”. Per non parlare del fatto che la vicina invasione russa in Ucraina crea anch’essa il rischio di un’ulteriore deflagrazione allargata, e comunque rinfocola la tensione negli Stati europei sia per l’impegno nel sostenere le necessità difensive del paese aggredito, sia per l’incognita che si arrivi a un possibile scontro diretto con Mosca.
A tutto questo, tra l’altro, è direttamente collegato un aspetto, neanche tanto sotto traccia, che nel Mediterraneo, e non solo, si manifesta ormai da diversi anni: quello della corsa al riarmo. Da questo punto di vista, infatti, sono ormai anni che il Mediterraneo ribolle. Considerato a lungo marginale dopo la fine della guerra fredda, il ‘Mare Nostrum’ conosce da qualche anno una profonda ristrutturazione interna che ne ribadisce l’assoluta centralità geopolitica. E le ragioni sono molteplici: al primo posto svetta la sua immutata collocazione geografica, che ne fa un teatro privilegiato all’intersezione dei continenti europeo, africano e asiatico e dunque un connettore essenziale per ogni genere di traffico.
Il riesplodere degli scenari di guerra non fa che amplificare considerevolmente questa tendenza già in atto. Inoltre da tempo, soprattutto in relazione al conflitto ucraino, in Europa si soffia apertamente sui venti di guerra, come ad esempio ha fatto il presidente francese Emmanuel Macron, che a metà marzo ha sostenuto che “la Russia non può e non deve vincere questa guerra”, non escludendo l’invio di truppe francesi sul terreno bellico: soprattutto per evitare il pericolo da più parti evocato che, nel caso di una piena vittoria russa in Ucraina, Putin possa varcare i confini europei minacciando le Repubbliche Baltiche, la Moldova, la Romania e la Polonia. Alle parole di Macron hanno fatto seguito quelle di altri esponenti politici europei di primo piano. Il belga Charles Michel, presidente di turno del Consiglio Europeo, ha sostenuto che “se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra” e che i Paesi europei devono convertire le proprie economie in economie di guerra aumentando le spese militari e facendosi carico di un riarmo sempre più cospicuo. Siamo entrati insomma in una fase in cui la guerra non è più un tabù, ma viene normalizzata ogni giorno di più e resa un fatto quotidiano.

di Fausto Gasparroni

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