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Fratellanza nella fede

accordo abu dhabi

FRATELLANZA NELLA FEDE: UNA VISIONE DI PACE FUTURA

Abbiamo chiesto a P. James Hanvey SJ, Segretario per il Servizio della Fede presso la Curia Generalizia della Compagnia di Gesù, di illustrarci come la Dichiarazione di Abu Dhabi possa ispirare e caratterizzare l’attività della Compagnia di Gesù e orientare la nostra volontà e il nostro agire verso la realizzazione di un mondo in cui la pace è raggiungibile e la giustizia è accessibile a tutti

Spesso è solo a posteriori che si può cogliere il significato di un documento o di un’azione. Lo storico britannico del pensiero politico, Quentin Skinner, sostiene che dovremmo considerare i grandi testi politici come atti, interventi significativi nelle crisi politiche e sociali del loro tempo. Questo vale anche per i testi religiosi.

Ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019 il Grande Imam e Papa Francesco hanno firmato una Dichiarazione dal titolo Fratellanza Umana. Si tratta di un atto profetico, di un intervento ispiratore e stimolante. In esso le due religioni del mondo, così spesso considerate nemiche, ci rivolgono un appello in nome di Dio e in nome dei sofferenti e degli oppressi delle nostre società. Anche in nome di Dio la Dichiarazione ci spinge verso un nuovo futuro. Con la sua stessa esistenza ci indica la via, dimostrando che islam e cristianesimo possono lavorare insieme per il bene universale.

Sappiamo quanto sia facile distorcere gli insegnamenti dell’islam e del cristianesimo al fine di dividere e distruggere. Invece nella Dichiarazione di Abu Dhabi tutti i credenti sono chiamati a respingere le ideologie religiose e a cercare una pace creativa e risanante che lasci sempre spazio all’altro. Il cristianesimo e l’islam hanno in comune una profonda fede nella misericordia e nella compassione di Dio. È questo che ciascuno riconosce all’altro. Sulla base di questa esperienza e a nome delle rispettive confessioni, il Papa e il Grande Imam si rivolgono ad un mondo complesso e diviso.

La fede non guarda solo con occhi umani. Attraverso di essa, Dio ci insegna a vedere il mondo sotto una nuova luce, la luce di Dio. Nella Dichiarazione vengono citati la sofferenza, lo sfruttamento, la distruzione umana ed ecologica, la violenza e i modi in cui le disfunzioni dei modelli umani incidono sulla vita delle persone più vulnerabili. La fede in Dio, che ascolta il grido dei poveri, apre le nostre orecchie alla voce dei dimenticati e degli indifesi. In nome di questo Dio misericordioso e compassionevole, la Dichiarazione rende visibili ai nostri occhi coloro che sono stati scartati perché ritenuti intralci al conseguimento di obiettivi economici e geopolitici più ambiziosi. Alle nostre orecchie, essa dà voce a coloro che non hanno voce e le cui grida sono soffocate dal vociare dei mercati azionari internazionali o dalle conversazioni dei politici nelle cene o nei dibattiti.

Eppure, se la fede ci permette di percepire il male che esiste nel nostro mondo, ci dà anche il coraggio di sperare. Tale speranza non è una visione utopistica e astratta, come quella derivante da un qualsiasi sistema totalitario o neoliberale. Una fede limpida non vede solo la disumanità che ci circonda, essa vede anche la capacità di cambiare, di far nascere qualcosa di migliore per tutti, a qualunque religione o nazionalità appartengano. Sa anche che tutto ciò non può essere realizzato senza il coraggio e la perseveranza che derivano dalla fede. Vede che non siamo soli in questo lavoro. Dio non ci ha abbandonati. Questo stesso Dio di cui alcuni vorrebbero servirsi per dividerci, ci invita a sfruttare tutta la nostra intelligenza e la nostra volontà per costruire un mondo più umano, giusto e compassionevole. Un mondo che rifletta la bontà divina piuttosto che oscurarla.

Papa Francesco e il Grande Imam sono testimoni dell’agire misericordioso di Dio nel nostro mondo. La loro Dichiarazione presenta il realismo di una speranza fondata sulla fede. Testimonia il desiderio di entrambe le religioni di veder fiorire l’umanità, un antidoto alla disperazione e al nichilismo che si annida nel cuore del secolarismo. Tale fede si fonda su Dio e ci permette di orientare la nostra volontà e i nostri doni verso la realizzazione di un mondo in cui la pace è raggiungibile e la giustizia è accessibile a tutti.

La Dichiarazione di Abu Dhabi considera il diritto alla libertà religiosa come una delle condizioni fondamentali per quest’opera di ricostruzione e di redenzione. Contrariamente a quanto molti sostengono, tutto ciò non può essere raggiunto attraverso la soppressione, l’abolizione o la manipolazione della religione, o attraverso l’egemonia politica di una religione sull’altra. La difesa della libertà religiosa è la pietra di paragone di una società veramente libera. La libertà religiosa è la libertà di riconoscere il diritto alla trascendenza dell’anima umana; la libertà di riconoscere e accogliere la differenza come parte del dono della molteplicità che Dio ha fatto a tutto il creato, e non ultima all’umanità. Si tratta di una libertà radicale; libertà da tutte le illusioni contemporanee che ci legano a stili di vita che nascondono la nostra schiavitù. La Dichiarazione mostra anche la centralità di altri diritti per una società giusta e umana: la necessità di proteggere i più vulnerabili, soprattutto la vita innocente. Questo diritto non appartiene solo agli individui di ogni età, ma a tutta la comunità. È giusto che sia una difesa fondamentale contro gli orrori del genocidio che continuano a colpire tanti popoli. Fratellanza Umana riconosce anche il diritto fondamentale delle donne all’istruzione e al lavoro; rifiuta tutto ciò che le priva della loro dignità. Difende soprattutto i diritti della famiglia e dei bambini, che sono la speranza dell’umanità.

Il Documento sulla Fratellanza Umana non è tanto una chiamata alle armi quanto una chiamata al lavoro. Né Papa Francesco né il Grande Imam sono impegnati in qualche esercizio retorico. Ci stanno chiamando ad iniziare l’opera di costruzione di un mondo migliore. Loro stessi sono attivamente impegnati in questo lavoro. Con questa Dichiarazione le due grandi religioni si impegnano a costruire insieme una società basata sulla giustizia, sull’equità e sulla pace; una società che rispetti e protegga i più vulnerabili, indipendentemente dal loro status o dalle loro capacità. Insieme, essi stabiliscono i mezzi, partendo dalla creazione di una cultura del dialogo e della cooperazione. Attraverso un dialogo umile e aperto all’altro, come quello che essi stessi hanno avviato, è possibile raggiungere una comprensione più profonda, il rispetto reciproco e la riconciliazione, non solo tra i credenti, ma anche con i non credenti. In tal modo il dialogo si rivela un atto generativo, quando diventa un habitus radicato nel nostro pensiero, nei nostri sistemi e nei nostri modi di operare.

Sotto questo aspetto la Compagnia di Gesù è ben organizzata. Dispone già di una vasta rete di professionisti e accademici impegnati nel dialogo interreligioso. Le sue reti di scuole e università rappresentano un grande potenziale per promuovere un dialogo di riconoscimento reciproco, di comprensione e riconciliazione a tutti i livelli. Nel suo lavoro per i rifugiati, la giustizia sociale e l’ecologia, essa collabora con partner di diverse confessioni. Questi ci mostrano che se la sofferenza, la privazione, l’esilio e la perdita non fanno discriminazioni tra popoli o religioni, neppure la nostra risposta può farne.

Allo stesso modo, dobbiamo agire per una comprensione più profonda di Dio che è la sostanza della nostra fede. Anche quando riconosciamo le nostre differenze, possiamo vedere che è Dio che ci attira insieme e non ci fa cessare le opere di misericordia e compassione, giustizia, dignità e pace. Infatti, è proprio questo Dio che non può divenire ostacolo a quest’opera, ma ci chiama sempre a trascendere i nostri limiti. Al servizio di questo Dio scopriamo che possiamo essere più grandi di quanto possiamo immaginare. Il Documento sulla Fratellanza Umana è certamente un atto, un intervento che definisce il mandato e ci ricorda l’audacia della speranza. Così facendo, essa dimostra l’infondatezza del mito secolare secondo cui la fede in Dio non ha futuro.

                                                                                                          P. James Hanvey SJ
                                                                                                Segretario per il Servizio della Fede
                                                                                         Curia Generalizia della Compagnia di Gesù

 

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