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MAGIS Notizie Gaza: Costruire un orizzonte alla memoria
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Gaza: Costruire un orizzonte alla memoria

Presentazione del libro “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza” (Roma, 1 luglio 2025)

Il 1° luglio 2025 ha avuto luogo la presentazione del libro “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza”, organizzata dai giovani della Fondazione MAGIS ETS e dal Centro Interconfessionale per la Pace (CIPAX). La raccolta, curata da Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti, e arricchita da una prefazione dello storico israeliano Ilan Pappé, presenta trentadue poesie scritte in gran parte a Gaza, dopo il terribile attacco terroristico del 7 ottobre 2023, nella tragedia della guerra che sta sconvolgendo la Palestina. Questi autori sono animati dalla convinzione che la poesia costituisca un atto di resistenza che sfugge al controllo delle armi, come ripreso nella prefazione.

La presentazione del libro intende contribuire alla costruzione di un orizzonte della memoria di uomini e donne che non solo non sperano più in un domani, ma temono anche di essere gettati nell’oblio.

L’evento, che si è svolto presso la Sala Assunta di via degli Astalli a Roma, ha riunito non solo giovani, ma anche persone di diverse età. Uomini e donne che, “attenti alle grida della terra e dei loro fratelli”, lasciano la loro comfort zone ma soprattutto non chiudono il loro cuore alle grida di uomini e donne come loro, la cui umanità è imprigionata, umiliata, abusata, falciata, negata da persone guidate dal solo “desiderio di potere”, giustificato da “una guerra di psicosi”, che l’abate Jacques Leclerq definisce illegittima, poiché non si ha il diritto di massacrare degli uomini per scongiurare un pericolo ipotetico[1]. Tutto questo sotto gli occhi delle nazioni e delle organizzazioni internazionali garanti dei diritti umani e dell’integrità territoriale degli Stati.

Ciò che sta accadendo a Gaza e in tutto il Medio Oriente in questo momento indigna la coscienza generale, eppure sembra che non venga fatto nulla per fermare gli artefici di questa follia. Si constata, ci si stupisce, si condanna persino, senza mai puntare il dito contro i responsabili. Quando si osa citarli, lo si fa con una fantasia diplomatica che evita ogni accusa. Viene distribuita assistenza umanitaria, vengono aperti alcuni corridoi umanitari, alcune centinaia o migliaia di persone vengono accolte nei rifugi, ma tutto questo non è sufficiente. Di cosa c’è bisogno a Gaza? «Voglio sognare», dice uno dei poeti di Gaza. Ma poi conclude: questo è il peccato per cui si viene uccisi.

Questi giovani, questi uomini e queste donne «affrontano l’assurdità», riconoscendosi in vita solo attraverso la morte degli altri. Nulla viene loro garantito, né una casa, né un futuro e tanto meno una sepoltura. 24 ore per andarsene, 24 ore per scappare. Ma scappare per andare dove? In fin dei conti, il tempo non esiste più per loro; lo subiscono. Quando non si ha nemmeno il tempo di organizzare il funerale del padre, della madre, del fratello o della sorella, dell’amico, del marito o della moglie, allora si torna all’essenziale. E l’essenziale ci riporta alle origini, alla patria, alla terra natale. È tutto ciò che non è loro permesso di sperare. Vivere diventa allora sinonimo di oblio, e più che oblio, cancellazione della memoria. È qui che la funzione del poeta diventa esistenziale: solo lui può conservare la memoria.

Da qui è nata l’idea della collezione di poesie su Gaza: «costruire un orizzonte alla memoria: raccontare, raccontare, ricordare». La poesia diventa così un atto di resistenza, «più pericoloso di un battaglione schierato». La poesia, infatti, è uno di quei mezzi di resistenza che non si lasciano controllare né dalle armi né dal potere. Si tratta di un atto di grande valore, se si considera che non solo gli abitanti di Gaza non hanno accesso alle informazioni che li riguardano, ma anche che le loro voci sono private dell’accesso ai media.

Se non possiamo e non vogliamo prendere le armi, possiamo comunque partecipare tutti alla guerra delle idee. Non si tratta di condurre una campagna di violenza verbale, ma una resistenza pacifica; una poesia senza troppi aggettivi (colori), priva di odio; semplicemente orientata all’essenziale e, forse, all’esistenziale. Ancor più, si tratta di «usare la parola per ricostruire la casa comune», rendendo presente un mondo che sembra così lontano eppure così vicino a noi. Ancor più, si tratta di salvaguardare la storia e inventare la Speranza per coloro che non solo non sperano più in un futuro, ma si vedono gettati nell’oblio.

Guardate, Daniela Passi (Artisti Oltre i Confini)
Il cielo di Gaza, Claudia Bellocchi (Artisti Oltre i Confini)

“Sono forse il custode di mio fratello?”, potremmo chiederci. A torto o a ragione? La risposta dei giovani della Fondazione MAGIS (MAGISGIO’) è che “chiudendo gli occhi sui mali degli altri, poco a poco si chiudono gli occhi su se stessi”. “Se stesso come un altro”, scriveva il filosofo francese Paul Ricœur, per dire che “l’Altro non è solo la controparte dello Stesso, ma appartiene alla costituzione intima del suo significato”[2].  Questo ideale, che ha alimentato la coscienza collettiva dell’Occidente del dopoguerra, sembra oggi cedere nuovamente il passo a una “logica del potere e degli appetiti di supremazia”, orientata verso un’“economia di guerra” che cerca di giustificare l’ingiustificabile.

Così, contro il silenzio generale, i giovani MAGISGIO’, tra tanti altri giovani e movimenti giovanili, si propongono di «raccogliere le grida di altri giovani», alimentando la loro coscienza e, al momento opportuno, alzandosi per dire no al negazionismo e all’ambiguità dei discorsi politici che affermano di non voler fare qualcosa che invece stanno facendo. Quando i governi diventano incapaci di ascoltare le grida dei poveri, spetta alle organizzazioni non governative, senza essere antigovernative, colmare le lacune di questi ultimi, con azioni caritative, ma prima di tutto e soprattutto dando voce a chi non ha voce. In questo modo, la voce dei dimenticati, la voce dei poveri, la voce della terra diventa la nostra. Il loro grido, il nostro. Speriamo così che, nella nostra piccolezza, possiamo costituire un osservatorio di speranza per tanti uomini e donne che cercano solo di sperare.

Articolo di Fabrice Bagendekere (MAGISGIO’, gruppo giovani della Fondazione MAGIS)


[1]  Cf. Jacques Leclercq, Guerre et service militaire devant la Morale catholique.

[2] Cf. Paul Ricoeur, Soi-même comme un autre, Paris, Edition du Seuil, p. 380

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