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MAGIS Notizie Le parole del processo sinodale: Comunione
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Le parole del processo sinodale: Comunione

Inaugurando i lavori del Sinodo, nell’ottobre del 2021, papa Francesco individuava nella
partecipazione, nella missione e nella comunione le sue parole guida. Tra tutte e tre, la comunione è
forse l’indicazione più indispensabile, perché premessa delle altre. Non a caso, Bergoglio invitava a
vivere il Sinodo «nello spirito della preghiera che Gesù ha rivolto accoratamente al Padre per i suoi:
“Perché tutti siano una sola cosa”. A questo siamo chiamati: all’unità, alla comunione, alla fraternità
che nasce dal sentirci abbracciati dall’unico amore di Dio. Tutti, senza distinzioni, e noi Pastori in
particolare».
La parola comunione rischia però di essere generica. Occorre spiegare meglio il suo significato
teologico. Essa rinvia ad una specifica ecclesiologia: quella del popolo di Dio che cammina insieme in
un pellegrinaggio ed una meta comuni. Teologicamente, l’immagine biblica che spiega questa unione è
quella del corpo di Cristo. L’eucarestia è appunto il segno di tale unione che associa, finanche
biologicamente, i cristiani a Cristo. Raccogliendo l’invito di Gesù all’ut unum sint, il sinodo mira
appunto a creare una chiesa più coesa ed unita sia tra le sue “membra” che con il suo “capo”. D’altro
canto, già il concilio aveva definito la chiesa “mistero” e “comunione”. Essa, cioè, è misteriosa perché
ha la sua origine in Dio, ed è comunionale, potremmo dire, natura sua, avendo come orizzonte la
fratellanza. Non è un caso, del resto, che alla comunione invitasse già Giovanni nella sua prima Lettera.
La chiesa, cioè, esiste esattamente per la comunione, e non potrebbe essere altrimenti, considerando
che i cristiani credono in un Dio trinitario. Lo scopo del sinodo, pertanto, è quello di creare una chiesa
comunione. Sinodalità e comunionalità, del resto, sono termini sinonimi. Lo spiegava bene
l’arcivescovo di Vienna Schönborn, sottolineando che «La sinodalità è il modus operandi della
comunione ecclesiale, la partecipazione anche su questioni e decisioni di governo, su aspetti della vita della chiesa. Il sinodo sulla sinodalità è un sinodo su come si vive in modo evangelico la comunione
ecclesiale, il camminare insieme di tutti i membri del popolo di Dio». Tradotto in termini concreti,
l’incontro sinodale è chiamato a superare un certo clericalismo, e ad archiviare per sempre, all’interno
del popolo di Dio e nel governo della chiesa, discriminazioni, separazioni e distinzioni ontologiche. Da
quando fu istituito il sinodo dei vescovi, nel settembre del 1965, con il motu proprio “Apostolica
sollicitudo”, nessun incontro era stato dedicato espressamente alla “sinodalità”, e quindi alla
“comunione”. Più precisamente, nel Sinodo del 1985, a vent’anni dalla chiusura del Concilio, si era già
parlato di comunione ecclesiale, ma senza affrontare dei temi specifici. Quello attuale, invece, si
distingue esattamente per la sua concretezza e per la sua operatività. Esso deve imprimere alla chiesa
una forma autenticamente comunionale. A sessant’anni da Lumen Gentium, infatti, e dopo i
precedenti sinodi dedicati ai singoli stati di vita, era opportuno riflettere su come laici, consacrati e
presbiteri possano vivere in modo armonico il loro comune servizio alla missione della chiesa. Un tale
cammino era persino inevitabile, perché, a livello ecclesiologico, ciò che è necessario valorizzare, è
proprio l’idea di comunione. Essa è diventata una categoria base per interpretare il mistero della
chiesa già durante il Vaticano II, ed oggi lo è ancor di più. In un momento storico nel quale l’identità
femminile, i laici, le minoranze e le diversità vengono valorizzate, una comunità ecclesiale disunita,
diseguale e disgregata non è più sostenibile. L’attuale incontro sinodale, aperto significativamente, ai
non-vescovi e ad un gran numero di laici e donne, indica appunto che la via intrapresa è quella della
comunione. Non sembra possibile tornare indietro. È possibile prevedere, in fondo, che “communio”
sarà il nuovo nome della chiesa, ed il sinodo è chiamato a generare forme e modalità che siano
espressione di una ecclesia realmente e concretamente comunionale. Ciò non significa che la chiesa
del futuro dovrà essere appiattente ed egualitaria o che verrà cancellata ogni forma di gerarchia,
perché una tale trasformazione non troverebbe appigli biblici, bensì che, d’ora in poi, il cammino della
chiesa dovrà essere fatto “insieme”. Del resto, in un tempo nel quale anche tra i laici – uomini e donne
– è maturata una consapevole coscienza teologica, e si sta diffondendo una sensibilità incarnazionista,
la comunione non è solo più facile, ma anche inevitabile. Una chiesa nella quale ciascuno dei suoi
membri potrà portare in dono i propri carismi, sarà inesorabilmente più ricca, più feconda, più
armonica, più fluida e più credibile. Usando un termine politico, potremmo dire che una tale chiesa
sarà anche più democratica, sebbene la logica a cui quest’ultima ubbidisce, non è quella degli Stati
nazionali. Nell’adunanza sinodale, ad esempio, si vota, e tuttavia il sinodo – così come tutta la chiesa –
nasce in prima istanza per ascoltare la voce dello Spirito. Una chiesa comunione che valorizza ciò che
lo Spirito ha dato a ciascuno, non può che essere la vera ecclesia del Cristo.

di Paolo Trianni

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