La tecnologia al servizio dell’Africa. È il progetto lanciato da un gruppo di studenti dell’Istituto Massimo di Roma, alcuni gesuiti, professori e genitori. L’obiettivo: fornire a due ospedali africani un sistema completo per produrre protesi e pezzi di ricambio utilizzando rifiuti di plastica (bottiglie, contenitori, tappi, ecc.). Un’impresa che solo alcuni anni fa sembrava impossibile e che adesso è stata messa alla portata di tutti attraverso stampanti 3D, una delle tecnologie più innovative in circolazione. Una sistema in grado di produrre oggetti di notevoli dimensioni con una grande precisione.

Gli ospedali beneficiari sono il Lachor di Gulu (che si occupa di 250mila pazienti ogni anno nel Nord dell’Uganda) e il Centro Caritas di Kenge (che serve 150mila abitanti in Congo). Per entrambe le strutture si è pensato di offrire un sistema composto da: una tritatrice che sbriciola la plastica, un estrusore che la fonde e crea un filo plastico, due computer e un archivio di oggetti 3D da stampare, un sistema di acquisizione 3D, una stampante 3D in grado di stampare oggetti di grandi dimensioni e due stampanti 3D di servizio, un set di ricambi, la documentazione e i tutorial.

All’iniziativa, che si è conclusa il 12 aprile 2016, ha partecipato anche il Magis. Attraverso una donazione, la nostra fondazione ha contribuito a raccogliere i 24.558 euro che sono serviti a rendere operativo il progetto.

Dove

Gulu, Uganda

Periodo

Destinatari

Gli ospedali beneficiari sono il Lachor di Gulu (che si occupa di 250mila pazienti ogni anno nel Nord dell'Uganda) e il Centro Caritas di Kenge (che serve 150mila abitanti in Congo).

Contributo

Contesto

La fornitura di protesi agli ospedali africani è particolarmente costosa. Attualmente, una protesi costa in media 300 dollari ai quali vanno aggiunte le spese di spedizione facendo lievitare il prezzo a 3.000 dollari. Le nuove stampanti 3D, oltre ad abbreviare notevolmente i tempi di attesa (oggi ci vogliono mesi per recapitare le protesi che vengono realizzate in Europa o nel Nord America), permettono di produrle in loco.


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