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MAGIS Notizie Successo in Ciad per l’intervento chirurgico salva-vita
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Successo in Ciad per l’intervento chirurgico salva-vita

Formazione teorica dei medici specializzandi in chirurgia

Successo ed emozione nella missione dell’equipe chirurgica di Tor Vergata in Ciad:

l’intervento salva-vita e le basi per i trapianti del futuro

Empatia allo stato puro sul piano professionale e alchimia reale sul fronte personale, per un’esperienza che sarà ricordata nel tempo ma che soprattutto è una solida base tracciata per il prossimo futuro.

Descrive così il professore Tommaso Maria Manzia la missione realizzata a fine giugno scorso da un’equipe di medici partiti dall’Università di Roma Tor Vergata alla volta della capitale del Ciad N’Djamena, direzione Complesso ospedaliero universitario di Référence Nationale (CHU-RN). Lui, ordinario di chirurgia generale insieme al collega e compagno di viaggio professore Luca Toti, sono esperti in chirurgia epatobiliopancreatica e trapianti: una specializzazione che si è rivelata vitale per la settimana in terra ciadiana.

Partiti nell’ambito del “Progetto Sanità Italia-Ciad: Formazione e Innovazione tecnologica”, progetto finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e implementato in Ciad dalla Fondazione Magis, i due chirurghi italiani sono volati fino alla capitale N’Djamena per dedicare una settimana scandita da formazioni in aula e interventi chirurgici, resi possibili grazie alla colonna laparoscopica donata e inviata in loco dall’università italiana.

Supervisione Blocco Operatorio in Ciad prima della formazione

Due giorni per ambientarsi, conoscere i colleghi locali, effettuare i primi interventi di chirurgia mininvasiva e laparoscopica, e poi al terzo giorno l’intervento che ha segnato profondamente la missione: un’epatectomia destra, un intervento al fegato molto serio e senza il quale il paziente non sarebbe sopravvissuto. Nessun medico ciadiano in quel momento era in grado di effettuarlo. I professori Manzia e Toti, specialisti in Italia di questo genere di interventi, hanno accettato la sfida e formato subito un’equipe italo-ciadiana per salvare la vita al paziente, un 50enne che aveva tentato una cura con un santone che gli aveva procurato delle bruciature sul petto per scacciare il malocchio.

Al loro fianco anche il professore Choua Ouchemi, primario locale e consigliere della salute presso la Presidenza. “Dalla prima stretta di mano quando ci siamo presentati è stata empatia pura: – racconta Manzia – tutto quello che siamo riusciti a fare in Ciad è stato merito del rapporto di grande fiducia professionale e umana che si è creata con lui, e tramite lui con il suo staff”. Braccio destro di Choua, un altro chirurgo ciadiano, Moussa Kalli, specializzando in chirurgia che lo scorso anno ha avuto l’opportunità, sempre nell’ambito del progetto, di risiedere due mesi a Roma frequentando Tor Vergata per osservare come funziona la camera operatoria e imparare le tecniche di chirurgia laparoscopica.

La sfida più grande per i medici italiani è stata eseguire questo difficile intervento salva-vita in un contesto molto diverso da quello abituale: in Ciad le condizioni igieniche non raggiungono neanche lo standard che in Italia è prassi, e la strumentazione chirurgica è a dir poco basilare. “Un caso estremo in condizioni estreme. Infrastrutture e degenze versano in una situazione drammatica. In questo modo il rischio aumenta, e questo intervento era già a rischio di per sé. Un rischio che ci siamo assunti perché, in alternativa, il paziente sarebbe morto”.  

Durante l’intervento, la famiglia dell’uomo attendeva all’esterno dell’ospedale, in una sorta di accampamento allestito nel giardino antistante, proprio come fanno tutti i parenti dei ricoverati. “Mi ha colpito il senso di appartenenza delle famiglie qui in Ciad: quando una persona è in ospedale, i parenti dimorano di fronte alla struttura, all’aperto, preparando i pasti che poi gli portano e attendendo che il loro caro esca. Loro infatti dicono ‘Ci hanno ricoverato’, al plurale. Questa è stata per me una scoperta, un insegnamento sulla vita che conducono”.

Nonostante le condizioni precarie e il rischio elevatissimo, l’intervento eseguito dall’equipe di cooperazione è stato un successo e il paziente dopo qualche giorno è tornato a casa.

Gli echi si sono fatti sentire dal giorno successivo: boom mediatico in tutto il Paese e ringraziamenti ufficiali da parte del Ministro della Sanità Pubblica e la Prevenzione, Dr. Abdelmadjid Abderahim, che ha voluto incontrare l’equipe medica anche per porre le basi per il futuro. “Questo intervento, oltre agli altri eseguiti nella settimana, è stato motivo di grande orgoglio per noi e per l’Università di Tor Vergata che rappresentiamo. Un orgoglio che si nutre anche di dedizione verso il prossimo e di amore per questo mestiere, che per noi medici sono sempre al primo posto e che in questa missione sono emersi in tutta la loro potenza. Una passione nata dalle persone in quanto professionisti e in quanto esseri umani, uniti nella cooperazione”. Questa riflessione del prof. Manzia pone le basi per una futura missione, magari il prossimo anno, nella speranza che ci siano i fondi necessari per realizzarla.

Un futuro ancora più prossimo include il trapianto di rene da vivente – oggetto di una lectio magistralis tenuta da Manzia e Toti davanti a 200 studenti ciadiani – per il quale il Ciad al momento non è ancora pronto: non solo perché mancano le condizioni igieniche necessarie e una relativa cultura di base, ma anche per la mancanza di una legge dedicata. Una strada lunga di cui però è già stata segnalata la partenza con questa missione che, alla fine, è stata “un viaggio complicato ed emozionante, che ci ha permesso di portare la nostra conoscenza e i nostri strumenti in una terra che ci ha accolto con calore e dove i colleghi e amici ciadiani ci hanno aperto con fiducia e gratitudine tutte le loro porte”.

Il “Progetto Sanità Italia-Ciad: Formazione e Innovazione Tecnologica AID 12582” è finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo

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