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Opera missionaria della Provincia Euro-Mediterranea dei gesuiti
MAGIS Cultura La testimonianza di una storia: una chiamata nel presente
Ciad,

La testimonianza di una storia: una chiamata nel presente

Padre Gherardi e Padre Corti

Padre Angelo Gherardi racconta alcune situazioni e alcuni aneddoti relativi all’inizio della sua attività in Africa e alla nascita degli ospedali di Goundi, N’Djamena e Biobé. Dal racconto scaturisce una chiamata all’azione nel presente: l’emergenza sanitaria in Ciad è tutt’altro che terminata, e tutti noi siamo chiamati a collaborare per affrontare questa sfida

Durante l’ultima visita del MAGIS a Goundi, Padre Angelo Gherardi – il “padre” degli ospedali di Goundi, N’Djamena e Biobé – in un clima amichevole e con appassionata disponibilità si racconta a Sabrina Atturo, referente progetti MAGIS, narrando alcune delle vicende che hanno caratterizzato l’inizio della sua missione in Africa. Vicende a partire dalle quali è nata, nel corso degli anni, l’opera di assistenza sanitaria attualmente affidata alla Provincia della Compagnia di Gesù dell’Africa Occidentale, che offre servizio e assistenza a migliaia di ciadiani.

Padre Gherardi racconta delle difficoltà che dovette affrontare quando, dopo gli studi di filosofia – solo pochi anni dopo essere entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù nell’allora Provincia Veneto-Milanese – fu destinato dal Provinciale alla missione del Ciad.

Emergono dal racconto situazioni di difficoltà legate a necessità primarie, come la necessità di procurarsi alimenti per sostenersi in modo adeguato in una realtà difficile, in cui alcuni degli stessi padri gesuiti faticavano a trovare risorse. Il giovane gesuita Gherardi si trovò addirittura a dover cacciare selvaggina assieme ad un gruppo di ragazzi, di cui era diventato amico. Racconti che lasciano trapelare aspetti anche divertenti, che mostrano come situazioni di necessità e difficoltà possano creare opportunità, che gettano le basi per amicizie future e per la nascita e la crescita di iniziative e attività che costituiscono passi importanti per la tutela dei più vulnerabili, lo sviluppo e la crescita umana di tante persone.

Ma fu soprattutto la mancanza dei mezzi tecnologici e scientifici che avrebbero permesso di far fronte alle necessità sanitarie delle persone a impressionare il giovane gesuita. P. Gherardi maturò infatti, come una vera e propria illuminazione già dai primi anni della sua presenza in Africa, l’idea che la missione della Compagnia di Gesù – quella di aiutare le anime – in quelle zone passava prima di tutto per il salvare le persone a partire dalla loro salute corporea, duramente messa alla prova dall’indigenza e da circostanze avverse. Furono soprattutto i casi di molte morti di donne partorienti che impressionarono e richiamarono con urgenza l’attenzione di Gherardi. Nemmeno il padre gesuita con cui viveva nelle zone di Kyabé, Padre Rosébellisle, che era medico, poteva evitare le complicazioni che portavano a tali decessi, non avendo a disposizione i mezzi per rispondere alle situazioni di emergenza che si presentavano.

«Il Padre con cui vivevo era medico, ma non aveva medicine. Le donne incinte venivano per partorire, ma non aveva niente. Arrivavano persone accompagnando donne partorienti, percorrendo anche 100 chilometri per tre giorni; a volte queste morivano per strada nel tragitto»

Diverse circostanze e incontri fecero sì che nascesse in quegli anni il primo gruppo di laici missionari italiani, i Tecnici Volontari Cristiani (TVC, da cui nacque in seguito l’ACRA – Cooperazione Rurale in Africa e in America Latina). Padre Angelo racconta in particolare l’incontro con il dottor Pietro Corti, fratello di Padre Corrado Corti (anch’egli gesuita missionario in Ciad). Pietro Corti qualche anno dopo fondò l’importante ospedale di Gulu, in Uganda, e da lì offrì costantemente il suo appoggio alla missione e all’operato di Padre Gherardi in Ciad.

«I fratelli Corti vennero quindi in Ciad, e passarono per salutare Padre Corrado. Mentre si parlava lungo la strada, uno di essi vide una bambina in fin di vita. Si rivolse ai presenti: “Non vedete che quella bambina sta morendo?”. Era Pietro Corti, che qualche anno più tardi avrebbe fondato l’ospedale di Gulu, in Uganda. Aveva in macchina un frigorifero, dentro di quel frigo riuscì a trovare sangue compatibile, che conservava, e salvò la bambina. Fu incredibile la felicità e la riconoscenza manifestata dalla madre. Ora quella bambina è madre di sette figli»

All’inizio, i primi laici missionari erano un gruppo di italiani che andavano in paesi francofoni senza quasi sapere nulla di francese. Con il tempo, si iniziò a proporre loro una formazione della durata di un anno, che veniva realizzata in Francia: formazione che non aveva come obiettivo solo l’apprendimento della lingua, ma che si concentrava sullo studio degli aspetti culturali e sociali necessari per poter intraprendere efficacemente una missione nei territori africani.

Dopo un periodo di un anno trascorso in Europa e negli Stati Uniti, Padre Gherardi al ritorno in Africa – in pieno sessantotto – dovette affrontare varie difficoltà. L’arrivo dei volontari dall’Europa era in quel momento osteggiato da parte di alcuni dei nuovi superiori. Fu il precedente superiore locale della Compagnia di Gesù, nel frattempo diventato vescovo, che stabilì, contro quelle resistenze, che i volontari dovevano insediarsi e continuare il loro servizio.

Preso dalle attività nei villaggi della zona, in cui offriva il suo servizio come sacerdote, Padre Gherardi un giorno accolse una delegazione di cristiani cattolici, che si presentò manifestando il desiderio di costruire un ospedale. La richiesta esprimeva qualcosa in cui Padre Gherardi già credeva fermamente: la sfida della salute era di primaria importanza, e i cristiani missionari nelle terre del Ciad si sentivano chiamati a rispondere con il loro impegno.

La strada per la realizzazione di un ospedale si presentava, però, tutta in salita. Oltre a non sapere da che parte iniziare e dove trovare le risorse, Padre Gherardi constatava che le resistenze all’epoca venivano anche dall’interno di diverse realtà ecclesiali. Ciò nonostante, la provvidenza fece sì che una serie di incontri, di circostanze, ma soprattutto la volontà e la determinazione del gruppo di volontari e di collaboratori, aprissero la strada permettendo di trovare quanto era necessario. L’ospedale a Goundi iniziò così la sua attività nel 1974. Da allora, molte persone e famiglie di medici e collaboratori hanno offerto il loro contributo, con una presenza appassionata di servizio durata in alcuni casi anche molti anni. Tra i tanti nomi di persone che nel corso degli anni parteciparono e furono determinanti per lo sviluppo dell’opera di assistenza sanitaria, prima a Goundi, poi a N’Djamena e, per ultimo e più recentemente, a Biobé, Gherardi menziona nell’intervista Virgilio e Mariella Dominoni, Andrea Piccolomini e Pierre Farah.  Un contributo decisivo venne dalle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida, provenienti da Brescia, che con il loro servizio instancabile fecero sì che l’ospedale potesse andare avanti anche in periodi difficili.

Una sfida che Padre Gherardi e i suoi collaboratori dovettero affrontare fu quella della formazione del personale. Molto del personale medico e infermieristico africano non era preparato adeguatamente per svolgere il proprio servizio, soprattutto in luoghi lontani dai grandi centri abitati dove era difficile arrivare. Sotto la spinta del desiderio di formare medici e infermieri capaci di operare in luoghi remoti e inospitali, nacque la scuola di formazione di N’Djamena.

Grazie alla disponibilità di personale adeguatamente formate, fu possibile iniziare a costruire centri di assistenza sanitaria in zone abbandonate, lontane dagli ospedali. Il fatto che alcune equipe composte da medici e infermieri iniziassero a recarsi direttamente nei villaggi per offrire assistenza sanitaria, fu un elemento importante che consentì di iniziare a rompere la diffidenza che molte delle popolazioni che abitavano nella zona attorno a Biobé avevano maturato verso qualsiasi straniero. Tali popolazioni erano state, infatti, per un lunghissimo periodo vittima degli arabi bianchi mercanti di schiavi proventi dal Sudan. Gli anziani di tali popolazioni lasciarono in eredità ai figli la raccomandazione di diffidare e di evitare qualsiasi contatto, prima di tutto con uomini bianchi, ma anche con stranieri africani, in quanto molti dei collaboratori degli schiavisti bianchi erano stati proprio africani obbligati a collaborare alla cattura degli schiavi.

La sfida per la salute in Ciad passa per la necessità di offrire un’adeguata formazione e sensibilizzazione, affinché le persone possano efficacemente prendersi cura di sé, sfruttando gli strumenti che vengono messi a disposizione dalle strutture sanitarie. La popolazione raggiunta dai presidi sanitari e dagli ospedali di Goundi, N’Djamena e Biobé, è attualmente solo il 15% della popolazione che potrebbe avvalersi dei servizi: un utilizzo ancora minimo. Il lavoro per favorire un vero e proprio cambio di mentalità è oggigiorno una priorità.

Uno dei fronti aperti – su cui anche il MAGIS può dare un importante contributo – è quello dell’educazione sulle necessità alimentari. Molte delle complicazioni che insorgono, ad esempio, durante il parto, sono dovute al fatto che molte donne non conoscono il loro fabbisogno, e non curano adeguatamente la propria alimentazione. Sarebbe sufficiente che integrassero la propria dieta con un po’ di farina, arachidi e fagioli tostati, zucchero e vitamine, per scongiurare buona parte delle complicazioni durante il parto, e degli aborti spontanei. È necessario diffondere una cultura che induca le giovani donne in gravidanza ad attivarsi immediatamente per provvedere alla loro corretta alimentazione. Per questo, è necessario che siano alcune donne, adeguatamente formate, coloro che educano altre donne a questo tipo di cura verso sé stesse.

A questo scopo, con il costo di un solo Euro, il MAGIS può provvedere a fornire a una donna in gravidanza la quantità di zucchero necessaria per prepararsi una bevanda da bere giornalmente per un mese. Sostenendo le attività di formazione sanitaria, anche attraverso la promozione di queste semplici forme di aiuto concreto, il MAGIS può apportare un contributo significativo.

L’appassionato lavoro del personale, dei volontari e di tutti i collaboratori che raccolgono l’eredità e condividono la passione e lo zelo di Padre Gherardi per la missione in queste terre, ha bisogno del sostegno che anche dall’Europa, attraverso organizzazioni come il MAGIS, può realizzarsi. Collaborando come donatore, e contribuendo a diffondere la conoscenza di queste realtà così preziose e importanti per paesi come il Ciad, ciascuno di noi può essere un agente attivo nella sfida per favorire il cambiamento culturale e di sensibilità, che può portare le popolazioni che vivono attorno a Goundi, N’Djamena e Biobé a un utilizzo maggiore dei servizi che le realtà degli ospedali offrono. La sfida è quella di indurre un cambiamento, a vantaggio della salute di molti.

 

a cura di P. Davide Orlandini SJ

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