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San Francesco Saverio, passione per la missione

3 dicembre, memoria di San Francesco Saverio, uomo missionario nelle periferie del mondo e tra la gente.

Saverio spende dieci anni della sua vita in Asia, di questi ne passa almeno cinque in navigazione o aspettando di imbarcarsi, percorre qualcosa come 63.200 km. Ma il viaggio più affascinante che percorre il Saverio è quello interiore. Il suo cammino lo porta ad uscire da se stesso per giungere alla soglia del faccia a faccia con Dio per riconoscere il fondamento della sua identità nel volto delle migliaia di persone incontrate.

Siamo nella prima metà del XVI sec. e Francesco si trova all’università Sorbona di Parigi, il centro della cultura europea. Si sta preparando per “guadagnare il mondo intero” e diventare uno dei protagonisti della sua terra, la Navarra. È un giovane colto e ricco, affascinante e sempre sorridente; determinante un incontro, quello con Ignazio di Loyola.  La vita del Saverio rimane un esempio incomparabile di primo gesuita missionario. Egli non si risparmia in nulla, al punto che arriva a scrivere: “Mi sento confuso quando, in mezzo ai più grandi disagi e pericoli, mi tocca [per il Signore] perfino piangere di consolazione e di gioia”.

Il suo viaggio interiore segnato da tre grandi tappe: Parigi, Roma e San Thomé di Maliapur.

La prima tappa è quella della conversione. In questo tempo troviamo l’uomo colto e nobile che vince i suoi vecchi sogni, è attratto dalla vita del Signore, vuole essergli grato per ciò che ha fatto per lui seguendolo come gesuita. Si sente chiamato a scegliere tra cosa è il bene e cosa è il meglio nella sua vita.

La seconda è la tappa dell’ignoto. Scopriamo l’uomo che ha fiducia, che nel suo entusiasmo dimentica se stesso e obbedisce all’invio in missione. Lo fa senza discutere, si affida solamente al Signore, crede alla volontà di Dio vivendo la sua obbedienza. È la tappa in cui decide di fare un salto nel buio senza sapere cosa incontrerà.

La terza tappa è quella dell’abbandono. Deve abbandonare le Indie perché si sente spinto da un desiderio che lo proietta più in avanti. In questa tappa lascia il noto per l’ignoto, un buon successo apostolico per iniziare tutto da capo.

Il Saverio non nasconde anche la sua parte affettiva, ciò che lo lega ai suoi confratelli che ha lasciato in Europa. Per tenerli sempre nel suo cuore porta al collo un reliquiario contenente la firma di Ignazio e degli altri compagni, una reliquia di Tommaso apostolo e la formula della sua professione. A questo proposito scrive: “E affinché io non mi dimentichi giammai di voi altri, sia mediante un assiduo e particolare ricordo sia per mia gran consolazione, vi faccio sapere, carissimi fratelli, che dalle lettere che mi avete scritto ho ritagliato i vostri nomi, vergati dalla vostra stessa mano e, insieme al voto che feci della mia professione, li porto sempre con me per le consolazioni che ne ricevo”.

Fu definito “il divino impaziente”. Il suo temperamento era sanguigno, carico di ottimismo, capace di piangere per la solitudine e l’amarezza, ma pieno di coraggio e di fiducia. Puntava sulla conversione delle persone con responsabilità sociale e politica perché a loro volta donassero ciò che avevano ricevuto. Era tutt’altro che ingenuo; i suoi collaboratori voleva che fossero uomini provati, fedeli nelle piccole cose perché solo così potevano essere pronti per affrontare le dure prove della missione.

Dalle lettere di Saverio traspare che il suo apostolato lo svolge in maniera semplice, umile, col volto sorridente o, come dice un’antica fonte, “con la bocca piena di riso”. Scrivendo ai suoi compagni di missione, li sprona alla santità della vita che ha il suo fondamento nell’umiltà: quell’umiltà vera però, che si esprime nella diffidenza per le proprie forze e nella fiducia nel Signore in mezzo alle difficoltà e ai pericoli. Ma c’è di più. Vuole che i suoi confratelli si modellino su questo stile: “Converserete con tutti con volto allegro, non vergognoso né arcigno, perché, se vi vedranno severo e triste, molti tralasceranno, per timore, di giovarsi di voi: siate per tanto affabile e benigno, e in particolare le ammonizioni siano fatte con amore e garbo”.

Rimane famosa una sua frase: “Non per la paura dell’inferno, né per la speranza del Paradiso, ma per come mi hai amato, io ti amo”

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