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MAGIS Cultura Amazzonia: «Queste sono le cose che puoi imparare da noi»
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Amazzonia: «Queste sono le cose che puoi imparare da noi»

Proprio in questi giorni si sta svolgendo l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Pan-Amazzonica «Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale». Pubblichiamo una testimonianza di p. Renato Colizzi Sj, Presidente del Magis, sulla sua recente esperienza nell’Amazzonia Boliviana.

Avendo vissuto il mese di giugno scorso presso alcune comunità dell’Amazzonia boliviana, vorrei  riportare qualcosa della mia esperienza, una sorta di eco di ciò che ho ascoltato dai loro anziani, dai loro giovani, dai compagni e compagne di cammino che il Signore ha messo sulla mia strada per aprirmi gli occhi e il cuore. Per vivere questo ascolto ho dovuto lasciare la terra che abitiamo noi delle civiltà, dette sviluppate, per entrare in territori che vivono in maniera molto diversa, non sottoposti a regime fiscale, con un’autonomia politica e amministrativa, in altre parole in terre dove non ci sono soldi, né polizia, né dogana, né proprietà privata. Il territorio che mi ha ospitato si chiama TIM, che sta per Territorio Indígena Multiétnico, e si trova nella Provincia di Mojos, nel dipartimento del Beni, nel nord della Bolivia, al confine con il Brasile.

Per entrare in questo territorio bisogna attraversare una strana terra di mezzo dove abitano preti, antropologi, volontari, attivisti e religiose. Tutti costoro hanno una vocazione coraggiosa, affascinante e dolorosa allo stesso tempo. Come angeli piangenti volgono le spalle e le ali alla civiltà che hanno lasciato dietro di loro, con gli occhi sgranati guardano con orrore le minacce che pendono sul futuro di queste etnie, e custodiscono la memoria della violenza che ha ferito la loro storia: gli scempi della deforestazione, l’aggressione e martirio di leaders indigeni, l’accaparramento di terre per agricoltura massiva e allevamento coloniale, tribù e famiglie costrette a scappare dalla schiavitù o semischiavitù in un misterioso esodo per la libertà sempre più dentro la selva, al di là dei fiumi che davano loro sicurezza e vita . Non tutti questi “angeli piangenti” sono credenti ma solo Dio potrà asciugare le loro lacrime perché esse sgorgano da profondità ancestrali, dal cuore della madre terra. Spesso mi sono chiesto nel silenzio della selva: Signore, sono queste le lacrime di beatitudine che un giorno saranno consolate?

Lasciata la terra di mezzo si entra nei territori indigeni dove le comunità sono avvolte dalla foresta, accarezzate dai fiumi, conoscono il linguaggio della natura, vivono della sapienza del tempo cosmico: sanno quando è tempo di caccia, quando di pesca, quando raccogliere pompelmi selvatici, quando raccogliere yuca dal campo di famiglia, quando usare il macete per tagliare i banani con i loro grandi caschi di frutta; sanno quando è il tempo del lavoro e quando della festa, il tempo in cui si può camminare o navigare e il tempo in cui si deve rimanere nella capanna presso il fuoco. Se ora volessi ripetere fedelmente come un’eco di una voce amica tutto ciò che ho sentito e tutto ciò che ho imparato, questa mi voce mi parlerebbe così:

«Queste sono le cose che puoi imparare da noi: puoi imparare la cura della terra perché noi, come vedi, non apriamo strade nel cuore della foresta ma chiediamo permesso per entrarvi e per cacciare.

Puoi imparare quanto benevolente e generosa è la nostra madre terra per cui non serve estrarre a forza ricchezza e materia per lasciarla depredata, perché lei si offre generosamente da sempre, già prima che noi nascessimo e continuerà a farlo per i nostri figli. Essa ci fa ricchi prima ancora che diventiamo indigenti. Così noi proteggiamo la nostra terra e lei ci protegge e si prende cura di noi.

Puoi imparare il senso del lavoro e della festa. Ci vedrai chini al sole per tagliare e coltivare con pochi strumenti di legno e ferro nei giorni di lavoro, mentre nei giorni di festa ti accompagnerà il battito del tamburo e il passo dei danzatori al suono dei flauti. Vedrai la testa dei nostri ballerini adornata con raggi fatti di piume tropicali come corona gloriosa, per imitare il sorgere del sole della nostra libertà, la gioia di cantare il dono della nostra terra e della vita.

Puoi imparare che noi non abbiamo biblioteche dove leggiamo la storia del nostro paese ma i nostri anziani ci raccontano il viaggio che fecero per cercare una terra senza schiavitù e senza violenza, una terra del buen vivir, una terra cioè dove si può vivere senza il male. E come dopo

mesi di cammino nella foresta guidati da Dio tramite sogni sognati dalle nostre guide, ci siamo fermati qui dove ci vedi vivere e danzare ora. E arrivando abbiamo piantato la croce missionale fra la cappella e il cabildo, come i nostri avi avevano imparato dai gesuiti delle reducciones. E se vorrai ascoltare le nostre melodie e le loro parole, ti accorgerai che di generazione in generazione, fuga dopo fuga le abbiamo portate con noi e ti sorprenderai nel riconoscere melodie barocche e testi sulla Trinità o sull’Immacolata. Io le ho imparate da mia nonna e ora, a orecchio, le suono su questo violino nella festa di Sant’Ignazio.

Noi non abbiamo libri che ci spiegano la storia dei dogmi ma sappiamo che i nostri avi hanno accolto dai gesuiti la buona notizia di Gesù, e nella settimana santa hai visto come alla luce delle candele le nostre comunità danzano e pregano il Dio della vita che ha resuscitato Gesù, e di nuovo lo contempliamo resuscitato nello spettacolo maestoso di questa Amazzonia vivente e trasbordante di vita

Puoi imparare che la nostra identità e la nostra terra sono per noi e per i nostri figli vocazione e compito per difenderla dall’avidità di chi già ha ma vuole sempre di più. Nelle nostre comunità non hai mai visto mancare o avanzare nulla perché noi tutto condividiamo, non abbiamo l’assillo dell’accumulo e dell’indigenza, non ci sono fra di noi affamati e famelici come nelle vostre città. Per questo, trent’anni fa, abbiamo marciato per un mese a piedi fino a La Paz, noi che mai avevamo visto la neve dell’altipiano. Lo abbiamo fatto per difendere il nostro territorio e la nostra dignità indigena, e così dovranno farlo anche i nostri figli.

Voi gesuiti ci avete da sempre aiutato e accompagnato in questo cammino e dovete ricordarvi anche voi della vocazione che Dio vi ha dato: aiutarci a difendere la nostra terra e la nostra gente».

P. Renato Colizzi SJ
Presidente della Fondazione Magis

 

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L’articolo è pubblicato sul numero 93 della rivista GMI scaricabile in formato pdf.

 

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