Gesuiti
MAGIS
Opera missionaria della Provincia Euro-Mediterranea dei gesuiti
MAGIS Notizie “Diario dal Brasile”, Aprile. Simone Garbero racconta la Pasqua vissuta ai margini del mondo
Brasile,

“Diario dal Brasile”, Aprile. Simone Garbero racconta la Pasqua vissuta ai margini del mondo

Simone Garbero, classe 1998, è un volontario della Fondazione Magis partito da Torino alla fine di Gennaio per una missione di sei mesi in Brasile. Simone è accolto e guidato in un percorso di formazione integrale dal Centro Alternativo di Cultura (CAC): è un volontario dell’equipe di lavoro e si sta occupando di comunicazione. La Fondazione MAGIS è presente in quest’area con il progetto “Reti di economia solidale delle donne in Amazzonia” e con il Sostegno a Distanza (SaD).
Come spesso accade, chi va per aiutare, scopre di ricevere più di quanto possa donare e le parole che Simone ha inviato a membri e collaboratori della Fondazione Magis attraverso whatsapp durante la sua esperienza in Brasile racchiudono il senso di un’esperienza che spalanca gli occhi e il cuore.
La potenza dei suoi racconti è tale da averci fatto pensare di condividerla con amici e sostenitori della fondazione Magis. Nella rubrica “Diario dal Brasile” vogliamo mensilmente raccogliere i messaggi che Simone scrive con lo stile del diario quando qualcosa di ciò che vive lo colpisce particolamente.

Il diario dal Brasile. Aprile

Dal Parà, n.7. – 🌷Buona Pasqua! La Vita ha vinto sulla morte! Per fortuna la Pasqua dura almeno otto giorni così non sono in ritardo con gli auguri…

Ho avuto la fortuna di vivere questa Pasqua in contesto molto diverso dal solito, differente anche dai vari luoghi in cui lo scoutismo mi ha portato negli anni a vivere tante Pasque speciali. Ho passato il triduo pasquale a qualche ora di traghetto dalla grande Belém, nel Marajò, un isolone che fa parte del più grande arcipelago fluviale del mondo, nel grande delta del Rio delle Amazzoni. In particolare sono stato a Camarà, un pugno di case immerso in mezzo al verde. Provo a raccogliere qualche pensiero intorno due coppie di parole e scusate se hanno un po’ il sapore di filosofia da bar, ma mi vengono così.

NATURA-CULTURA

Fin dal tempo degli antichi romani (perché mio nonno parte sempre da lì) ci piace costruire palizzate, recinti, steccati, pietre angolari per delimitare bene dove inizia  e dove finisce la città, la mia casa, il mio giardino. Le nostre case in città quasi sempre sono delimitate da recinzioni ed è in qualche modo chiaro dove finisce il mio giardino (un po’di verde “ospite” del cemento) e dove inizia quello del mio vicino ed è evidente dove finisce la città e dove inizia la “natura”.

Per usare parole grosse che vogliono dire tutto e niente, ci piace separare nella nostra testa e marcare sul terreno il confine tra umano e naturale, tra natura e cultura. Ecco, mi accorgo di come questa separazione sia chiara solo per noi vivendo in un luogo in cui sono le case ad essere “ospiti” della foresta, per terra cemento e asfalto sono quasi del tutto assenti, così come non ci sono recinzioni e non è affatto chiaro cosa sia il giardino di chi e cosa sia foresta. In fondo si capisce che la comunità umana che condivide questo ambiente con tante altre forme di vita, fa parte della stessa natura e non si sente separata da essa con la sua cultura e i sui mattoni. Pensiero senz’altro banale per molti, ma per un tizio come me abituato a frequentare cementose città italiane è una cosa nuova.

CENTRO-PERIFERIA

Se pensiamo a un luogo “marginale” secondo il modo di pensare più consueto, di luoghi più marginali di un pugno di case sperduto in mezzo alla foresta su di un’isola in mezzo ad un fiume ce ne sono pochi. Mi sono confrontato con il punto di vista di chi abita questo “margine”: in particolare abbiamo vissuto la settimana santa immersi nella vita della comunità cristiana del luogo e mi accorgo di come tutto il loro sforzo (e la loro frustrazione) sia per cercare di essere il più possibile uguali di un supporto centro da cui sono irrimediabilmente lontani. A Camarà arriva un prete per presiedere la Messa una volta ogni tre mesi: tutto il resto viene guidato dalle coordinatrici della comunità.

Molto interessante – viene da dire – chissà in che modo originale avranno sviluppato la loro vita comunitaria locale. Poi entri in chiesa e trovi il diacono futuro prete con abito talare nero fino ai piedi, chierichetti con tunica rossa e cotta traforata (cioè il vestitino bianco che si mette sopra, e tutto ciò con 30°C in chiesa). In poche parole, altro che punto di vista diverso che viene dai “margini”: loro cercano di sentirsi il più possibile simili a quello che vedono accedere in Vaticano, al centro!

Eppure che ricchezza c’è in questa comunità, di cui gli stessi membri non sono consapevoli, tanto impegnati a guardare un centro a cui uniformarsi! Insomma, per chiudere il pensiero: mi pare che sarebbe molto interessante provare ad invertire il movimento: anziché indicare a chi sta in periferia una verità che sta al centro a cui uniformarsi, partendo dal centro spostarsi ai margini per conoscere e valorizzare le tante verità che fioriscono senza essere viste da nessuno, per costruire un punto di vista più multicolore e vitale. Come mi insegna sempre una cara amica “la verità non sta al centro”.

Condividi