Viaggiare in verticale

Giorno 5 Agosto un gruppo di 12 persone lascia l’Italia diretto verso terre lontane.
Anche se in gruppo, la confusione é tanta. Non sanno cosa andranno a fare. Il luogo da raggiungere, la loro meta, è un’esperienza nuova. Le facce sono delle più diverse, chi ride, chi é nervoso, chi già si sente stanco. Pero, un’idea accompagna tutti, una consapevolezza. Arrivati li non saranno semplicemente turisti, ognuno, a modo suo, sarà altro. I posti che li attendono sembrano cosi lontani e distanti, e pare assurdo credere a qualcosa che vada oltre il semplice turismo. Sembra a tutti una follia, soprattutto a quelle dodici persone.
Poi si parte lo stesso e ci si sente molto emozionati. Eppure si parte.
E lo stesso gruppo di 12 persone arriva lontano e comincia a vedere, ad ascoltare , a camminare persino ad odorare. Si viaggia senza essere turisti, e si viaggia senza ancora comprendere cosa vuol dire missione. Allora perché si viaggia?
Il viaggio é un concetto strano, molti non si fermano a riflettere sulla domanda piu essenziale « Perché mi metto in viaggio? » E allora si viaggia spesso orizzontalmente, cercando di vedere piu luoghi possibili, di esplorare, conoscere, accumulare esperienze o frammenti di vita da possedere e riportare a casa. Ci si muove sulla superficie, cercando di coprirne il piu possibile e crescere nelle proprie esperienze. Poi vi é un altro modo di viaggiare. Si puo viaggiare verticalmente, incrociando gli occhi delle persone che ti circondano, assaporandone il sorriso, stringendo una mano, o anche semplicemente ascoltando cos’hanno da dire. Per far questo non occorre spostarsi. Si potrebbe anche non uscire dalla propria città. Non si tratta più di possedere qualcosa o qualcuno, ma di aprirsi a una relazione che richiede uno sforzo in piu. Vedere il proprio sorriso non compreso, donare e donarsi senza sapere bene come. Insomma, mettersi in gioco grattando la superficie alla scoperta di una qualche gemma preziosa che é importante custodire, se pur non evidente al primo sguardo.
E a un viaggio del genere che si sentono chiamate quelle dodici persone.
di Alberto Patella, partecipante al Campo in Benin 2014
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