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MAGIS Educazione “Diario dal Brasile”, luglio. Il racconto di Simone Garbero tra stagioni irriconoscibili, pericolosi aquiloni e questioni di “razza”
Brasile,

“Diario dal Brasile”, luglio. Il racconto di Simone Garbero tra stagioni irriconoscibili, pericolosi aquiloni e questioni di “razza”

Simone Garbero, classe 1998, è un volontario della Fondazione Magis partito da Torino alla fine di Gennaio per una missione di sei mesi in Brasile. Simone è accolto e guidato in un percorso di formazione integrale dal Centro Alternativo di Cultura (CAC): è un volontario dell’equipe di lavoro e si sta occupando di comunicazione. La Fondazione MAGIS è presente in quest’area con il progetto “Reti di economia solidale delle donne in Amazzonia” e con il Sostegno a Distanza (SaD).
Come spesso accade, chi va per aiutare, scopre di ricevere più di quanto possa donare e le parole che Simone ha inviato a membri e collaboratori della Fondazione Magis attraverso whatsapp durante la sua esperienza in Brasile racchiudono il senso di un’esperienza che spalanca gli occhi e il cuore.
La potenza dei suoi racconti è tale da averci fatto pensare di condividerla con amici e sostenitori della fondazione Magis. Nella rubrica “Diario dal Brasile” vogliamo mensilmente raccogliere i messaggi che Simone scrive con lo stile del diario quando qualcosa di ciò che vive lo colpisce particolarmente.

Il diario dal Brasile. Luglio

Dal Parà n.9 – Mentre la maggior parte del Brasile è in inverno, l’Amazzonia è un mondo a parte e qui è arrivata l’estate amazzonica : non sono ore di luce e inclinazione dei raggi solari a cambiare qui, ma chi comanda è sempre lei, l’acqua . In questo periodo infatti le piogge sono meno abbondanti (comunque un po’tutto i giorni per non dimenrticarci), il cielo più limpido e i raggi del sole arrivano indisturbati a perpendicolo sulle nostre teste. Un bel caldo, ma luglio è anche il periodo delle vacanze dalla scuola e dei bagni nei fiumi.

Ecco un paio di cartoline in questo clima di ferie!

AQUILONI

Nel cielo di pomeriggio in qualsiasi strada di qualsiasi quartiere popolare della città si incontrano ovunque piccoli aquiloni volare altissimi nell’azzurro, a terra bambini e ragazzi con un grande rocchetto di filo in mano e il naso all’insù. La cosa che mi colpisce è che non sono solo bambini, come si potrebbe immaginare, ma anche ragazzi che arrivano in motorino. Tutto questo pare un’immagine innocua molto sognatrice, ma c’è un retroscena che lo trasforma in situazioni molto pericolose. Innanzitutto, la risposta alla domanda di cosa ci sia di così divertente a far volare aquiloni è facile: tagliare i fili degli aquiloni degli altri. Per fare questo molti immergono il filo dell’aquilone in colla con polvere di vetro, il problema è che se il filo per sbaglio finisce di traverso ad una strada e si impiglia da qualche parte diventa un pericolo invisibile per chi passa in bici o in moto se è ad altezza collo. Altro problema: quando si taglia un aquilone la fase successiva è uno stormo di bambini che corre per andarlo a prendere una volta che cade a terra: ovviamente si corre guardando in su e attraversando strade, canali, ponti… Ultimo motivo per cui un aquilone può essere molto pericoloso è che in città ovunque ci sono fasci di cavi elettrici penzolanti, per cui il rischio di scariche elettriche è molto concreto.

ORIGINI e MESCOLANZE

Difficile riassumere in una cartolina la complessità in cui ogni giorno mi sto addentrando di identità, origini e ancestralità. Una costante di moltissime persone che incontro è la ricerca della loro origine etnica. In questa parte del Brasile nel corso degli ultimi tre secoli sono avvenuti incroci come forse in nessun altro luogo della terra. Qui indigeni, europei colonizzatori, africani schiavi si sono di fatto mescolati dando origine a fattezze che raccontano storie genetiche incredibili: pelle scura con occhi azzurri, pelle chiara e capelli crespi africani e così via…

Percepisco tuttavia come pressante l’esigenza di identificarsi in una categoria: in molti moduli accanto all’indirizzo di casa  bisogna dichiarare la propria apparteneza etnica (quasi sempre si parla di “razza”). In realtà pure in questa mescolanza il colore della pelle parla ancora di status sociale: è raro trovare persone nere o con tratti indigeni nelle professioni più qualificate o nella politica, anche se con posti riservati nelle università si stanno facendo sforzi per superare questi settori.

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