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MAGIS Cultura Intervista a p. Franco Martellozzo
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Intervista a p. Franco Martellozzo

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Coronavirus a Mongo – dalla newsletter n.15 di AuraItalia

Anche qui le attività di formazione si sono un po’ rallentate; si ricordi che da febbraio a tutto aprile – i mesi della pandemia – siamo al massimo della stagione secca, cioè del massimo del caldo (che questo abbia contribuito a rallentare il virus?) Si chiudono le scuole, ma si lavora negli orti, nella stagione secca!…o si impara un mestiere: qui, la falegnameria di Baro. Poi arrivano le piogge, le arature, le semine, i lavori pesanti, e c’è il Coronavirus.

Padre Franco, come state vivendo a Mongo questa imprevista catastrofe?
Carissimi amici, mia nonna, quando qualcuno della grande famiglia parlava troppo, diceva che “un bel tacer non fu mai scritto!” Per questo esito un po’ a lanciarmi in una nuova news in questo momento così duro per il mondo intero. Ma forse ancora più per voi italiani che in più delle miserie del tempo vi dovete sorbire la cacofonia di tanti specialisti che si combattono e contraddicono a vicenda. Leggevo in questi giorni che un certo dottor Ferrario (o Ferrari) dichiarava  che è stupido portare le mascherine, che il COVID-19 è un’invenzione delle case farmaceutiche. Allora mi son domandato se sono uno sciocco a fabbricare mascherine e varechina per le disinfezioni. Ma poi, un pover’uomo arrivato da N’Djamena, che scioccamente aveva rifiutato il test, ha infettato i suoi amici e così il virus è entrato anche qui. Allora, non potendo mettere quella testa asinina in una pentola a pressione, continuo a fabbricar mascherine e varechina. E infine, nonostante il detto di mia nonna, mi son deciso a scrivere, perché una comunicazione serena della nostra realtà sarà sempre meglio che “un bel tacer”.

E la gente, come reagisce?
Siamo in una realtà di attesa della tempesta coronavirus che tuona in capitale dove si trova la maggior parte dei pur pochi contagiati che ufficialmente esistono in Ciad. Ecco un fatterello che dipinge con realismo questo momento di attesa fatto di ansia ma anche di saggio umorismo.
Qualche giorno fa un amico porta suo figlio ammalato all’ospedale di Mongo; tutto normale col solito via vai di ammalati, accompagnatori e infermieri. Poi, ecco arrivare una moto che trasporta una donna anziana che si mette a tossire rumorosamente nel cortile dell’ospedale. Uno comincia a gridare: “Coronavirus coronavirus…!” Il grido si propaga perfino nelle sale di degenza e in un batter d’occhio è un fuggi fuggi generale, accompagnatori, infermieri, gente con le stampelle e tutti i malati capaci di star sulle gambe. L’ospedale si svuota come per incantesimo e il mio amico si trova solo con suo figlio e il medico direttore dell’ospedale. Questi si avvicina alla donna che tossisce, la riconosce e scoppia in una risata. Era una vecchia paziente afflitta dalla bronchite già prima che si parlasse di Covid-19. Poi un po’ alla volta tutti i fuggitivi ritornano alla chetichella e l’ospedale riprende il suo normale formicolio.

Tuttavia il contagio esisteva e la paura può avere effetti ugualmente dannosi, di inattività o di rassegnazione. Come avete agito?
Subito dopo l’inizio della pandemia, la nostra equipe apostolica si è impegnata subito a sviluppare ovunque semplici impianti di varechina. Lo facevamo già, con un progetto finanziato da Fraternità Missionaria, quando il caro Dario Bedin era ancora tra noi. La tecnica per fabbricare questo prodotto, (in francese Eau de Javel) non è difficile; così, oltre a disporre di materiale disinfettato per i dispensari, la varechina è diventata rapidamente il modo normale di lavarsi le mani. Ci siamo poi messi immediatamente alla fabbricazione di mascherine, dal momento che l’amministrazione stava lì impalata ad aspettare. Le nostre strutture stanno facendo il massimo, con grande interesse e impegno della popolazione. Anche con un po’ ottimismo, perché la prevenzione dal contagio richiede un po’ di informazione, ma mezzi alla portata di chiunque, come del resto succede in tutto il mondo. Ottimismo e un po’ di ironia per alleggerire il peso della sofferenza e della paura, perché so bene che non c’è nulla da ridere in quello che sta succedendo.

Un po’ di ironia?
A questo ci pensa il mio  collega gesuita, p. Serge Semur, il nostro “druido gallico” specialista di erbe, radici e decotti di Artemisia, un’erba che aiuta nella cura della malaria. Siccome ogni tanto dico: “Per lottare contro il Covid ci vorrebbe qualche bottiglia di grappa di Bassano!”, ecco che un giorno riceviamo una cassa di alcol-gel da usare per lavarsi le mani. P. Serge prende allora la bottiglia d’acqua che tengo sempre in macchina e la riempie di alcol-gel. Poi, mentre giro con la Toyota in savana, al colmo del calore, prendo la bottiglia e giù una gorgogliata da ippopotamo. Troppo tardi per sputarla fuori, me la ingoio tutta… Tutto sommato non era niente male come grappa, che l’abbia messa l’angelo custode? mi chiedo. Rientrando a cena metto la bottiglia sulla tavola e dico ai i miei colleghi: “Ehi, un regalo!  volete assaggiarla?” Immaginatevi le risate di tutti e il padre Serge che dice: “Vedo che hai dimezzata la bottiglia! Ottima contro il coronavirus, quello non ti becca più!”.

Vediamo l’altro aspetto: la pandemia e le conseguenze economiche. Sul già citato giornale “Le Monde Afrique, 28 aprile 2020” si rileva che “gli africani devono affrontare un paradosso nel tempo: i nostri Stati stanno subendo il pieno delle conseguenze economiche della crisi prima ancora dei suoi effetti sulla salute” il contrario di quello che sta avvenendo in Europa. Che cosa ne pensi?
Come dicevi, le attività sono effettivamente un po’ rallentate, ma nulla si è veramente fermato. Con le scuole chiuse abbiamo sviluppato altri settori, come gli orti, l’attività di formazione professionale, la commercializzazione dell’Artemisia, una pianta officinale di cui si dice che potrebbe curare alcuni casi di coronavirus, come pare affermi lo stesso Ministero della salute ciadiano. Abbiamo anche iniziato l’apicultura, contrastando l’attività dei bracconieri che cacciano le api con il fuoco per andare a caccia tranquilli. Stiamo provando a trasformali in apicoltori, con beneficio dell’ambiente.

Ho accennato già alla produzione generalizzata di varechina, tecnica non difficile, e quanto mai urgente, ma un’attività che nell’ultimo anno abbiamo più sviluppato è quella della fabbricazione degli aratri. Nonostante la pandemia, il fatto di possedere un discreto numero di aratri ha risolto molti problemi. Non è stato necessario spostarsi a comperarli, girare per i mercati, non ci sono stati assembramenti, perfino meno contatti fisici, proprio perché la sistemazione degli aratri richiede mani occupate…

Puoi valutare l’impatto sui beneficiari e sull’ambiente?
L’impatto esatto sui beneficiari lo avremo dopo la stagione dei lavori agricoli in Novembre al momento dei raccolti. Comunque, l’inchiesta che abbiamo fatto per gli aratri venduti l’anno scorso ha dimostrato un incremento molto forte della produzione per i possessori di aratri. Infatti hanno raddoppiato e a volte triplicato le superfici di coltura, facendo meno fatica e raccogliendo tre volte di più. Sarà la stessa cosa anche per questo progetto.
Sull’ambiente, le formazioni alla protezione del suolo e al suo miglioramento con tecniche appropriate, benché difficile e lento, comincia ad entrare nella visione dei contadini. Alcuni sono riusciti a rendere fertili dei terreni considerati sterili. Gli aratri sono stati venduti ai capi famiglia, che poi fanno anche beneficiare almeno due famiglie vicine. Considerando che una famiglia conta in media 10 componenti, possiamo dire di aver fatto un bel favore a circa 70.000 persone. Non devo però dimenticare il “ciclo” produttivo totale, sviluppato dall’amico Rusconi, cioè lo divulgazione delle “cucine migliorate”, di semplice struttura in ferro, ma che portano a un notevole risparmio di legna. E questo in pieno “Sahel”, la riva del deserto.

Ti ricordi qualche testimonianza?
Le testimonianze di riconoscenza del bel lavoro della Chiesa cattolica grazie a questo progetto sono corali. Ne scelgo una che mi sembra eccezionale e significativa, fatta da un contadino di cui è bene conservare l’anonimato: “I paesi arabi non fanno che riempire il paese di moschee come se la preghiera da sola ci portasse la soluzione dei nostri mali. Solo la Chiesa cattolica, senza chiederci nulla in ricambio, ha pensato veramente a liberarci dalla miseria attraverso questi aratri e a questa formazione agricola che nel passato nessuno ci ha elargito. È qui che noi vediamo la vera presenza di Dio! UN GRAZIE SINCERO A TUTTI VOI E CHE DIO VI BENEDICA”

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