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Situazione Covid-19

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In Brasile, il Presidente Bolsonaro è al centro di uno scontro istituzionale con gli altri poteri dello Stato a causa della sua reazione all’emergenza da Covid-19. Il culmine si è raggiunto la scorsa settimana quando le iniziali misure di restrizione emanate con ordinanze dai governatori federali sono state fortemente criticate da Bolsonaro che le ha definite «misure di confinamento di massa» e azioni di «terra bruciata» eccessive per quella che secondo lui è solamente una ‘gripezinha’, una lieve influenza che non può nuocere ai brasiliani che – ha dichiarato – «devono essere studiati, non si ammalano. Possono saltare e tuffarsi nelle fognature e non gli succede nulla! Penso che in Brasile tanta gente sia stata contagiata, ma hanno gli anticorpi per resistere al virus».

Gli Stati dove sono i nostri partner di progetto e i nostri missionari, hanno adottato misure restrittive con sospensione delle attività e misure per lo distanziamento sociale. E’ una situazione difficile e complessa che mette a rischio la salute dei brasiliani, con la crisi economica e sociale che si fa già sentire tra le popolazioni più povere.

E’ per questo motivo che il CEAP Centro Studi e Consulenza Pedagogica, opera sociale dei gesuiti che sosteniamo per combattere l’analfabetismo e favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, sta coordinando un gruppo di giovani volontari per monitorare le situazioni più gravi e portare cibo a chi non riesce a mangiare. A Salvador de Bahia sono ancora tante le persone che soffrono la fame e molti i ragazzi, ora che le scuole sono chiuse, non possono più contare sul pasto offerta nella mensa scolastica.

A Capim Grosso, nel sertao nessun caso confermato di Covid-19 ma il sindaco ha chiuso la città, interrompendo tutti i collegamenti con la capitale e chiuso anche tutte le attività commerciali anche le scuole. Anche la nostra scuola EFA, voluta e sostenuta dal gesuita missionario padre Xavier, è stata chiusa ma la didattica continua a distanza grazie alla generosità dei donatori che ha permesso di effettuare investimenti nella preparazione degli insegnanti e negli strumenti informatici.

E’ di qualche giorno fa la notizia della Repam su Avvenire che, anche nella zona Amazzonica, cresce l’infezione per cui molti indigeni lasciano le città e si rifugiano nella selva. La parola «coronavirus» non viene mai pronunciata nelle comunità indigene dell’Amazzonia per non «attirare il male». Eppure il virus ormai è arrivato anche nella sterminata regione. I dati ufficiali, inoltre, considerano solo le capitali provinciali. Non si sa niente dei villaggi. E questo è un problema grave perché proprio sugli insediamenti più remoti e sugli indigeni, l’impatto del Covid-19 rischia di essere devastante. «Potrebbe provocare un genocidio», afferma Sofia Mendoça, ricercatrice dell’Università federale di San Paolo, in Brasile. Come il passato recente dimostra, gli indios sono particolarmente vulnerabili di fronte a malattie nuove. Soprattutto quelle di tipo respiratorio, la cui mortalità è quasi doppia rispetto al resto della popolazione.

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